Il perché della NAPOLITANIA INDIPENDENTE

Come è ormai noto a tutti, l’Italia unita è stata fatta con la violenta occupazione della Napolitania effettuata con stragi degli abitanti e rapina di tutta la nostra economia. Questa forma di occupazione mirata unicamente alla colonizzazione del territorio conquistato ha creato, inoltre, una delinquenza organizzata, non contrastata in concreto dallo Stato (delinquenza necessaria perché porta i voti ai politici corrotti), che ha sempre condizionato pesantemente lo sviluppo sociale ed economico della Napolitania. Attualmente è di 37 miliardi di euro il costo della criminalità organizzata nelle regioni napolitane, un vero e proprio cancro che sottrae all’economia della Napolitania il 15% del pil. Le cinque regioni, si legge in un articolo di MF, ad alta densità mafiosa come Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata sono anche quelle con il minor pil pro capite di tutta Italia: in particolare nelle prime 3 regioni il valore aggiunto pro capite del settore privato è meno della metà del Centro Nord. Su un campione di 800 imprenditori operanti in queste regioni, il 60% ha dichiarato di subire condizionamenti da parte della criminalita’ e il 40% ha denunciato effetti negativi sul fatturato.

Così, dunque, in 150 anni la Napolitania è diventata sempre più povera, mentre il Nord si arricchisce sempre più. Per questo sono calati per venirci a “liberare”. La sintesi la dà il divario nel Pil per abitante: 17.324 euro contro 29.914 nel 2009 (57,9% il primo in rapporto al secondo). Mentre nel 1861, nella Napolitania il 22,8 per cento della popolazione in grado di lavorare era attivo nell’industria contro il 15,5 del Centro-Nord. Ora  dopo 150 anni solo un milione e 400 mila napolitani hanno un impiego industriale nella propria terra.

In questo secolo e mezzo ogni volta che lo Stato italiano ha annunciato che avrebbe fatto qualcosa per il Sud, poi ha sempre fatto interventi che in realtà erano funzionali solo all’arricchimento del Nord: tipico quello della Cassa del Mezzogiorno che in concreto finanziava le aziende del Nord senza mai realizzare nella Napolitania le infrastrutture necessarie alla pari delle altre regioni settentrionali, anzi comprimendo perfino il sistema finanziario a sostegno alle imprese napolitane. Inoltre è da rilevare che attualmente le banche e le assicurazioni che contano sono tutte del Nord con il compito di drenare denaro dalla Napolitania (una delle prove di questo è il costo del denaro che è più elevato nella Napolitania).

Il risultato di questa colonizzazione, che ha comportato una contrazione della crescita e nello sviluppo, è che, oggi, circa il 24% dei napolitani ha smesso perfino di cercare lavoro poiché le difficoltà di cercare lavoro nel nostro territorio sono aumentate del 67% dovute alla inefficienza della pubblica amministrazione, in ogni suo ambito, carenza delle infrastrutture, illegalità, rigidità, mancanza di concorrenza. Cioè, lo Stato non fa lo Stato e, impedendo al mercato di funzionare correttamente, favorisce l’economia fondata sulla relazione invece di quella fondata sul merito. E lo Stato italiano, come azione di sostegno, festeggia 150 anni di unità e i verdi buzzurri (eredi dei savoiardi risorgimentali) cantano le glorie del Governo e del federalismo, vantando i benefici che avranno Napolitania e Sicilia.

I napolitani ascari di questo sistema dicono che ci guadagneremo tutti dal federalismo fiscale (cioè i “tutti” che sono loro), come per miracolo tutti gli sprechi spariranno, diminuiranno le tasse (locali e nazionali) senza diminuzione dei servizi, un miracolo quindi (come quello che si annunciava con la Cassa per il Mezzogiorno). In realtà, secondo gli studi dello Svimez, la Napolitania perderà un miliardo di euro con il federalismo fiscale.

Purtroppo questa è l’attuale classe dirigente napolitana e non c’è assolutamente possibilità che essa cambi. Costoro anzi affermano che l‘Italia non cresce perché c’è il Sud, senza capire che la storia economica contrasta con evidenza questa teoria messa in piedi dai colonizzatori per i loro interessi.

Sono 150 anni ormai che l’Italia convive con la cosiddetta “questione meridionale”. Il termine fu coniato nel 1873 da un deputato. Così la descrisse nel 1904 Giustino Fortunato: «Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C’è fra il Nord e il Sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nell’intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl’intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale».

La persistenza di questo dualismo non ha, però, impedito all’Italia in alcune fasi di raggiungere tassi di crescita molto elevati, multipli degli attuali, come nel 1950-1973. Fatto che indica che la Napolitania arretrata è stata funzionale allo sviluppo del Settentrione. Non solo la Napolitania è diventato dal 1861 il mercato di sbocco per i beni prodotti al Nord, un mercato tra l’altro sostenuto con la spesa pubblica (vedi FIAT), ma, anche attraverso il trasferimento di capitale umano, trasferimento oggi forse meno consistente nel numero, ma di più alta qualità media, trattandosi per lo più di laureati e molto intraprendenti. La fuga dalla Napolitania equivale, secondo stime della Fondazione Curella, a un travaso di risorse di 15 miliardi l’anno a favore delle regioni che ricevono il capitale umano formato (la stima considera l’investimento della famiglia per crescere e istruire una persona fino al diploma superiore e lo moltiplica per le 100mila persone che lasciano la Napolitania).

Se vi fosse uno Stato motivato a ridurre il dualismo italiano rimetterebbe in moto l’intera economia italiana, ma con un effetto moltiplicativo proprio per la Napolitania che darebbe così una spinta propulsiva a tutta la penisola. Per rilanciare l’economia italiana non servono interventi straordinari, nemmeno in alcune sue aree. Ma buone politiche ordinarie. Ciò che fa bene all’Italia fa tre volte meglio alla Napolitania, che diventerebbe la spinta per la crescita di tutta l’Italia. Non mancano esempi d’imprenditorialità meridionale vivace e capace, nonostante gli handicap di contesto ben maggiori con cui deve fare i conti. In meno di dieci anni non si avrebbe più questa spaccatura tra Nord e Sud.

Tutto questo rende evidente che lo Stato non vuole che la Napolitania progredisca e ogni suo progetto politico è indirizzato a dare benefici al Nord. L’Italia insomma è il centro-nord, il resto è colonia da sfruttare. Purtroppo la continua, strisciante e martellante propaganda risorgimentale ci ha abituato ad essere trattati così e la nostra gente non è più in grado di distinguere la verità dei fatti, resta tutto al più disturbata dagli avvenimenti come se fossero una fatalità. Digeriamo ormai tutto, dallo scadimento morale alla corruzione, alle angherie dell’usura internazionale, alle più folli guerre.

L’Italia di oggi, priva ormai di sovranità, è prigioniera di strutture politiche, militari ed economiche (l’Unione Europea, la Nato, le Banche Centrali) nelle quali non ha alcun peso. L’unica sua possibilità decisonale è quella di sfruttare la sua colonia interna: la Napolitania. Più che mai ora è dunque necessario darsi una mossa per il bene della nostra sopravvivenza, prima che sia troppo tardi. Dobbiamo puntare a un coordinamento strategico tra gruppi napolitani con estrazione ideologica anche diversa, rifiutando le vuote etichette politiche di destra, centro e sinistra, ed essere consapevoli tutti che la Napolitania deve ritornare ad essere indipendente. Bisogna convincersi, e convincere, che una vita degna di essere vissuta, non lesiva per le nuove generazioni, non può essere quella di un gregge da mumgere e da sfruttare. Una Napolitania indipendente è la nostra fonte di vita e deve essere il nostro unico obiettivo.

I recenti conflitti del Nord Africa, le cui ripercussioni siamo ancora ben lontani dall’immaginare, hanno una fisionomia che la gente comune non focalizza perché inebetita da una informazione volutamente assai superficiale. Il rincaro dei generi alimentari di prima necessità ha provocato sommosse in Tunisia, in Egitto e altrove, causato da speculazioni sulle materie prime, dovute all’immissione sul mercato di 600 miliardi di dollari creati dal nulla (quantitaive easing). Denaro che non è andato nelle tasche della gente, ma in quelle dei grandi speculatori e investitori che non hanno perso tempo a violentare l’economia reale. Dal che si può lecitamente pensare che le più grandi potenze mondiali hanno avuto una parte di primo piano nella programmazione dei conflitti che considerano come un incentivo alle loro economie: distruggere per ricostruire. Intanto, mentre il destino dei paesi nordafricani si compie, noi della Napolitania, sottomessi a questa pavida e mistificatrice Italia, rischiamo di pagarne tutti i prezzi economici e sociali: immigrazioni, perdite economiche e politiche, aumento del prezzo dei carburanti e inflazione.

Non dobbiamo più, dunque, continuare ad essere un gregge, non possiamo più aspettare che altri risolvano i problemi della Napolitania. E’ nostro dovere, per la responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri figli, di liberarci da questo sistema oppressivo dello Stato italiano. Abbiamo sperimentato che i nostri politicanti sono del tutto passivi, se non addirittura complici con quelli del Nord. Siamo noi, noi del popolo, che tutti insieme, senza inutili timori, dobbiamo intraprendere con ogni mezzo le iniziative necessarie per liberarci da questa forma di parassitismo e ritornare ad essere indipendenti. La storia dimostra che eravamo alla pari con gli altri popoli europei quando eravamo indipendenti. Se siamo tutti uniti possiamo farcela e ricostituire un nostro Stato. L’indipendenza della Napolitania, è provato, è l’unica nostra garanzia di ripresa sociale ed economica.

Questo è lo scopo del FLN – Fronte per la Liberazione della Napolitania, la prima compagine indipendentista dopo quella dei briganti che combatterono legittimamente gli invasori savoiardi. Da loro noi dobbiamo prendere l’esempio e da loro abbiamo ereditato il diritto-dovere di lottare per liberare la nostra terra e per portare il nostro popolo verso il suo naturale progresso sociale ed economico.

Antonio Pagano

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