by Vincenzo Russo
È il 27 gennaio e tutti i wanna-be democratici d’Italia si apprestano, puntuali come sempre nel dimostrare la loro presunta grandezza morale, a commemorare il Giorno della Memoria, una ricorrenza istituita con tanto di legge dal Parlamento italiano «che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazifascismo». Giustissimo, per carità.1
Tuttavia voglio andare a toccare un argomento che purtroppo la maggioranza dei cittadini di questo paese ancora ignora. Infatti, le istituzioni di questo paese, prima ancora della pur doverosa commemorazione delle vittime del nazifascismo, dovrebbe occuparsi di ristabilire dignità e rispetto, e perché no, anche un po’ di verità: ricordare allo Stato tutto che se esso esiste è grazie anche all’Olocausto Napoletano.2
«Olocausto Napoletano» non è un’espressione riconosciuta ufficialmente, ma dati la definizione antonomastica di «olocausto» e i dati che sto per citarvi, l’accostamento spiega in due parole quello che invece io dovrò spiegarvi usandone qualcuna in più, ma che vi anticipo con una triade scioccante: un milione di morti, deportazioni, leggi razziali. Tutto a danno di quelli che oggi chiamiamo meridionali.
Premessa
Correva l’anno 1860 e a quei tempi con il termine napolitano si indicavano gli abitanti e il territorio della parte continentale del Regno delle Due Sicilie. A seguito di quella che molti di voi conoscono come «liberazione»,3 ma che in realtà fu invasione, scoppiò il fenomeno oggi conosciuto come brigantaggio, che per lungo tempo interessò soprattutto la parte continentale delle Due Sicilie.
Questa non è la sede per i dettagli, quindi vi dirò seccamente: i briganti non erano, per la maggior parte, realmente tali. Per citare la famosissima frase di Gramsci: «Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti».4
Erano in pratica dei partigiani in difesa della indipendenza della propria terra. Tra le loro fila, oltre ai contadini, si unirono numerosi soldati dell’esercito borbonico ormai sciolto dopol’ultima resistenza a Gaeta.
Un milione di morti
Sebbene le stime ufficiali non si siano volute spingere oltre i 250.000 morti, Antonio Ciano, nel suo libro «I Savoia e il massacro del Sud», parla di un milione di morti uccisi,5 cifranon inverosimile dal momento che il corpo di occupazione piemontese, «che disponeva ormai di tutta la forza d’Italia» (cit. Francesco II), compresa la guardia nazionale di trista memoria, assommava, nel 1865, anno del massimo sforzo contro la resistenza meridionale, a mezzo milione di uomini. «Se si traesse il novero dei fucilati, dei morti nelle zuffe, dè carcerati dal Piemonte, per soggiogare il Regno di Napoli, senza fallo si troverebbe assai maggiore di quello dei voti del plebiscito, strappati con la punta del pugnale e colle minacce del moschetto…» riferisce La Civiltà Cattolica (Serie IV, Vol. XI, 1861, pag. 618). Come dire che i morti, nel mese di agosto del 1861, superavano già di gran lunga il milione trecentomila.6
L’azione piemontese era talmente scandalosa e cruenta che persino Massimo d’Azeglio, il quale ebbe già a scrivere, in una lettera privata, che «unirsi ai Napoletani è come giacere con un lebbroso», fu costretto a dichiarare pubblicamente «[…] so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni [per tenere il Regno] e di là si […] si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti […] Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate».7
Gli eccidi
Un pensiero particolare a tutti quei paesi che l’occupazione piemontese ha spazzato via dalle carte geografiche o, quando non c’è riuscita, ha ridimensionato considerevolmente. Simbolo di questi avvenimenti è il massacro di Pontelandolfo e Casalduni.8 «Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra» ordinò Cialdini a Negri.9 A operazione compiuta quest’ultimo rispose: «Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».10 «Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava»11 […] «Non si poteva stare intorno per il gran calore. E quale rumore facevano quei poveri diavoli che per sorte avevano da morire abbrustoliti sotto le rovine delle case. Noi, invece, durante l’incendio, avevamo di tutto: pollastri, vino, formaggio e pane».12
Il Lager di Torino
Il Forte di Fenestrelle fu usato dai Savoia per deportare soldati borbonici.13 Le stime ufficiali arrivano a 24.000 soldati deportati (per alcuni dei quali, pochi invero, oggi conosciamo i nomi e l’età), lasciati morire di fame e di freddo, e i cui corpi furono sciolti nella calce viva collocata in una grande vasca, ancora oggi visibile, situata nel retro della chiesa all’ingresso del forte. All’interno del forte ancora oggi si legge la frase: «Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce». La stessa frase si ritroverà anni dopo ad Auschwitz.14
Altri tentativi di deportazione
«Tutti i criminali meridionali dovrebbero essere deportati in un luogo disabitato e lontano migliaia di chilometri dal Belpaese. In Patagonia, per esempio». Intenzioni e progetto portano la firma di un presidente del consiglio italiano: Luigi Federico Menabrea. Siamo nel 1868.15 Si provò ripetutamente a chiedere un’area di deportazione a diversi governi, come quello inglese e quello argentino. Tutti i tentativi fallirono, perché nessuno riuscì a trovare il modo di giustificare una aberrazione simile.
Leggi razziali
La Legge Pica, varata nel 1863 e prorogata più volte, autorizzava difatti lo stato d’assedio nelle regioni meridionali della penisola e successivamente anche nella Sicilia. Ciò, unito alle teorie di antropologia criminale di Cesare Lombroso, secondo le quali era, in pratica, possibile decretare che una persona fosse un brigante o un criminale in base alle sue fattezze, causò una pulizia etnica di fatto.
Oggi, in nome di Cesare Lombroso, troviamo un museo di antropologia criminale,16 guarda caso a Torino. Questo museo è in pratica una fossa comune legalizzata ed esposta al pubblico, in quanto raccoglie tutti i crani dei sedicenti briganti su cui Lombroso portava avanti i suoi studi. Ricordiamo a tal proposito che «in alcuni casi sono state tagliate le teste dei briganti uccisi per facilitarne il riconoscimento. Potendo i malevoli elevare dubbi calunniosi, si vieta questa pratica…» Successivamente si spiega che la pratica era diffusa per la comodità di trasportare le teste piuttosto che tutti i corpi dei briganti uccisi.17
Esodo
Intorno al 1871, dopo più di dieci anni di repressione, il fenomeno del “brigantaggio” iniziò a scemare e fu l’inizio di una nuova piaga, ancora oggi aperta: l’emigrazione. È bene sapere che, fino a quel tempo, mai le terre del fu Regno delle Due Sicilie avevano conosciuto il fenomeno dell’emigrazione di massa. Piuttosto, questo fenomeno era molto diffuso nel nord della penisola. Ma dopo dieci di anni di repressione, di chiusura di fabbriche, di distruzione di terre,18 di spoliazione di risorse e denari dalle banche,19 non era rimasto nient’altro alla gente che fuggire via.
Come se non bastasse il danno fino allora arrecato, arrivò anche la beffa: la tassa sull’emigrazione oltreoceano, quasi esclusivamente meridionale. Con i soldi di questa tassa venne poi costituito un fondo per rimborsare il biglietto agli italiani che emigravano in Europa (e solo a loro), stavolta per quattro quinti settentrionali.
Commemorazione
In segno di commemorazione, mi piacerebbe lasciarvi con le parole commoventi dell’epilogo del film di Pasquale Squitieri «Li chiamarono…briganti!» interpretato da una sublime Lina Sastri.
- 1 Tuttavia mi chiedo perché si ignorano bellamente le vittime dei campi di concentramento in Russia, Inghilterra, Stati Uniti, Cina.
- 2 E Siciliano; che tuttavia non tratterò in questo articolo, per ragioni di spazio e per evitare dispersività nella lettura. Se interessati, vi invito alla ricerca, magari partendo dalla Strage di Bronte.
- 3 Non c’era niente dal liberare. Il Regno delle Due Sicilie non era assolutamente sotto controllo straniero. I Borbone Due Sicilie erano una casata Napoletana fondata da Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e Elisabetta Farnese di Parma (ricordiamo le parole di quest’ultima quando scrisse al figlio: «La più bella corona d’Italia» – chiaro il significato). I quattro regnanti discendenti di Carlo erano duosiciliani di nascita e il Regno è sempre stato uno stato sovrano e indipendente, non una colonia spagnola come si racconta nei libri. Il periodo coloniale spagnolo terminò, infatti, con l’avvento dei Borbone.
- 4 In «L’Ordine Nuovo», 1920.
- 5 Su circa 9 milioni di abitanti, in totale, delle Due Sicilie. L’11% della popolazione sterminato.Un genocidio.
- 6 Infatti i risultati del cosiddetto plebiscito, truccati ed estorti con i moschetti alla gola, risultarono essere: 1.302.064 Sì contro 10.312 No. La menzogna di tali numeri è scolpita, per chi avesse ancora qualche dubbio in proposito, nella lettera da Napoli a Ruggero Bonghi n. 3298 datata 20 marzo 1861 del Carteggio di Cavour, La Liberazione del Mezzogiorno, vol. IV pag. 398, Zanichelli: “…Ieri è stato il giorno più solenne per dimostrare lo scontento di tutto il popolo. Il 14 fu la festa del Re, non lumi, non feste, non un evviva…il 18, proclamazione del Regno d’Italia, silenzio di morte…” – via tradizione.biz
- 7 F.M. Agnoli, L’epoca delle rivoluzioni, Il Cerchio, 1999 – via Il Portale del Sud.
- 8 Vedere anche i documenti raccolti su pontelandolfonews.com.
- 9 Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento, Napoli, Guida, 2000.
- 10 Gigi Di Fiore, I vinti del Risorgimento, Torino, UTET, 2004
- 11 Giovanni De Matteo, op. cit.
- 12 Dal diario del soldato piemontese Carlo Margolfi, come citato in «Indietro Savoia!» di Lorenzo del Boca, p. 232.
- 13 Non fu, comunque, l’unico: altri anche a S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
- 14 Cit. Pino Aprile in quest’intervista.
- 15 Rapahel Zanotti, La Guantanamo dei Piemontesi, LaStampa.it, 12 Ottobre 2009.
- 16 Il comitato No Lombroso è da tempo attivo nella lotta contro questo museo, per restituire dignità ai patrioti delle Due Sicilie.
- 17 Busta 60, fascicolo 19, Ufficio (Archivio) Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, Ministero della Difesa, Roma – Circolare del Comando del VI Dipartimento Militare, 11 maggio 1864 – via Gennaro De Crescenzo.
- 18 Molti boschi vennero distrutti anche più tardi del 1871, ancora con la scusa di stanare briganti, ma con il vero obiettivo di danneggiare le terre e di conseguenza l’economia rurale.
- 19 Con la famosa legge del 1° maggio 1866 sul corso forzoso, la moneta del Banco di Napoli poteva essere convertita con l’oro dei depositi della banca meridionale, mentre si dichiarava “inconvertibile” la moneta emessa dalla Banca nazionale. L’oro piemontese veniva messo in salvo, mentre quello custodito al Sud fu sostituito da monete di carta straccia, deprezzate dalla continua inflazione.
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