Come l’Italia ha sfruttato la Napolitania

 

Isveimer, istituto per lo sviluppo degli affari illeciti italiani

di Maria Carannante

Introduzione

L’Istituto per lo sviluppo economico dell’Italia meridionale (Isveimer), nato con il Regio decreto-legge 3 Giugno 1938 n. 883, è stato un istituto di credito di diritto pubblico, sotto il controllo del Banco di Napoli eccetto che nel periodo dell’intervento straordinario. A partire dagli anni ’50 assunse il ruolo di intermediario del credito a medio-lungo termine dell’area del napoletano per conto della Cassa del Mezzogiorno prima e dell’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno poi. Con la crisi del credito industriale, l’istituto sarà utilizzato per la gestione di affari illeciti che negli anni ’90 ne causeranno la crisi e la liquidazione volontaria. [1]

Il credito industriale e l’intervento straordinario

Il credito industriale è stato un aspetto del credito fortemente regolamento già dal primo dopoguerra, attraverso l’istituzione di istituti di credito speciali, come l’IMI. Nel secondo dopoguerra il compito di risollevare l’economia del napoletano e delle isole fu affidato a Sudindustria, una società fondata insieme alla SVIMEZ su iniziativa di Pasquale Saraceno e Astorre Baglioni. Lo scopo della società fu quello di sollecitare lo sviluppo dell’area attraverso investimenti nei settori poco presenti nel resto di Italia, in particolare quelli ad alta tecnologia. Cruciale fu in questo periodo il ruolo del Banco di Napoli che operò come consulente unico di Sudindustria e elargiva i finanziamenti attraverso la Sezione di Credito industriale. [2]
Alla fine degli anni ’40 l’Isveimer iniziò a collaborare con il Banco e nel 1953 assunse il ruolo di intermediario del credito a medio-lungo termine di riferimento nell’area del napoletano, in seguito alla chiusura di Sudindustria e l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno. [2]

La legge 11 aprile 1953, n. 298 affidava il credito industriale del napoletano e delle isole a tre istituti di diritto pubblico, l’Isveimer, l’Istituto regionale per il finanziamento alle piccole e medie industrie in Sicilia (Irfis) e il Credito industriale Sardo (Cis). I tre istituti poterono attingere risorse esclusivamente dal fondo di dotazione, dal fondo speciale e tramite l’emissione di obbligazioni, mentre le altre forme di raccolta del risparmio furono loro vietate. Il fondo speciale era costituito per il 40% dalle somme versate dalla Cassa del Mezzogiorno di cui il 61% spettava all’Isveimer, il 29% all’Irfis e il 10% al Cis. [3]
L’attività degli istituti fu posta sotto il controllo del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio e il Comitato dei Ministri del Mezzogiorno. [3] Inoltre, essi godevano dello status di istituti regionali di finanziamento alle piccole e medie industrie, nati con la legge 22 Giugno 1950 n. 455, che si occupavano esclusivamente del credito industriale alle piccole e medie imprese, lasciando i rapporti con le grandi imprese agli istituti di credito speciale. [4]
Il credito industriale in quel periodo fu tutto ad appannaggio dei settori di base, sia per la loro natura di imprese ad alta intensità di capitale, sia per la possibilità di usufruire delle agevolazioni derivanti dall’intervento straordinario, anche da parte di molte grandi imprese del Centro-Nord. Molti istituti di credito industriale entrarono in crisi in seguito allo shock petrolifero, dato l’eccessivo legame ad un unico settore del credito, notevolmente ridimensionato a causa della crisi dell’industria di base. [4]

Lo scandalo e la liquidazione

La crisi dell’Isveimer divenne manifesta con il suo coinvolgimento nell’indagine “Mani pulite”, ma determinante fu un affare non del tutto trasparente con una società del gruppo Fininvest.

Nel febbraio [del 1993], la richiesta di un finanziamento pari a 100 milioni di dollari. L’Isveimer, prima ancora di sottoscrivere il contratto con l’Istifi, acquista la “provvista” in Franchi svizzeri presso la Merryl Linch Capital Service di Londra. E lo fa, sostengono gli inquirenti, accollandosi il “rischio di cambio” (una sorta di scommessa sulla stabilità del rapporto Lira-Franco svizzero nei tre anni successivi con cui, se va bene, s’abbattono i tassi d’interesse) che, invece, spetterebbe alla società del gruppo Fininvest. Improvvisamente, però, il finanziamento viene bloccato nonostante l’istruttoria avesse dato parere favorevole sull’affidabilità della società legata al Biscione. E la pratica va in archivio senza ulteriori spiegazioni. Della misteriosa inversione di rotta non viene fornita alcuna comunicazione ufficiale all’Istifi che, dal canto suo, evita ogni tipo di protesta. I 100 milioni di dollari restano così nelle mani dei dirigenti Isveimer che hanno condotto l’operazione. L’intera cifra sarebbe stata poi versata presso la sede lussemburghese di una banca italiana. La fluttuazione del franco svizzero, però, avrebbe fatto fallire la scommessa accesa con il “rischio di cambio”, provocando una perdita di circa 32 miliardi mai iscritta in bilancio. Tale circostanza è stata poi portata a galla, nel ’95, dagli ispettori della Banca d’ Italia. [5]

Nel 2004 il processo si è concluso con tre patteggiamenti, con due condanne a un anno e una a quindici giorni di reclusione con l’accusa di riciclaggio e con la prescrizione per i funzionari dell’Isveimer e gli amministratori della Fininvest coinvolti nell’operazione. È stata inoltre respinta la richiesta di restituzione delle somme ritenute oggetto di operazioni illecite. [6]
Le perdite ingenti subite dall’istituto legate agli affari illeciti e la ristrutturazione del Banco di Napoli ne resero inevitabile la liquidazione. Liquidazione che fu gestita come l’ultimo dei suoi affari illeciti. I commissari liquidatori, provenienti da Roma, Milano e Firenze, estromisero i dirigenti e i dipendenti, arrogandosi il diritto di lavorare nel lusso a spese dello stato.

[…] Da quando l’Istituto è stato posto in liquidazione volontaria dal Banco di Napoli, nella sede di via Marittima si è insediata una pattuglia di persone di fiducia di Masala e Gesmundo. Segretarie, avvocati, commercialisti, revisori dei conti hanno preso possesso di uffici e scrivanie per “dare una mano” allo scioglimento della società del gruppo Banco di Napoli. Sono tutti alloggiati, a spese dell’Isveimer, e quindi dello Stato, all’Hotel Excelsior, dal lunedì al venerdì, giorno in cui tornano nelle loro case di Roma, Firenze e Milano. Non è finita: per gli spostamenti, hanno in dotazione automobili di grossa cilindrata e la possibilità di attingere a un fondo spese per pagare aerei e treni. La lista si apre con Antonella Cavarischia e Vittoria Tesei, la prima segretaria “storica” di Masala, la seconda già assistente di Gesmundo nel suo studio legale di Firenze. Subito dopo i liquidatori firmano un accordo di consulenza con la società di revisione romana Macfin, ben accreditata negli ambienti del Tesoro e della Banca d’Italia. Un gruppo di rappresentanti della Macfin prendono possesso degli uffici dell’Isveimer (e delle stanze dell’albergo extralusso): Giuseppe Vidau, (già consulente dell’Isveimer alcuni anno fa per conto della Peat Marwick), Fabrizio Montaruli, Afan De Rivera, Federico Cioffi. A giugno di quest’anno i liquidatori, dopo aver licenziato due funzionari con mansioni dirigenziali, nominano un nuovo direttore generale: è Bruno Verdiglione, una vecchia conoscenza di Antonio Masala (era stato il suo vice al Fonspà, società che fa capo al Credito Fondiario). Tale decisione è oggetto di un’altra interpellanza presentata il 2 giungo ‘97 al ministro del Tesoro dal senatore dei popolari Severino Lavagnini: “Si chiede di conoscere – scrive Lavagnini – se non si ritenga che tale nomina ecceda macroscopicamente i poteri dei liquidatori tenuto conto… soprattutto del fatto che l’unica attività che i liquidatori devono perseguire è lo scioglimento della società”. [7]

La gestione della liquidazione, inoltre, non fu certo un grande esempio di trasparenza. I bilanci dal 1995 al 1997 furono resi nulli dal Tribunale di Napoli [8] a causa di una volontaria sottostima del passivo, in particolare quella relativa al fondo integrativo della pensione dei dipendenti, attraverso l’utilizzo di basi tecniche palesemente poco realistiche e il rifiuto dell’applicazione delle regole di rivalutazione previste dalla legge sulla ristrutturazione del Banco di Napoli. Risulta inoltre dai bilanci che le stime sono state commissionate a una società commerciale avente per scopo sociale la gestione di immobili, residence e l’attività di affittacamere. [8]

Conclusioni

La gestione dell’Isveimer è rappresentativa di una gestione scellerata tipica del settore pubblico italiano, caratterizzata dall’ingerenza dei faccendieri e della politica. In questo caso, l’istituto, nato per lo sviluppo del napoletano, divenne l’istituto per lo sviluppo degli affari illeciti italiani.

Riferimenti

[1] Foscale, G., “Tutti gli affari targati Isveimer”, su “La Repubblica”, sez. Commenti, p. 13, 6 Giugno 1996.
[2] Dandolo, F., “Sudindustria e la ricostruzione delle piccole e medie imprese meridionali nel secondo dopoguerra”, in De Simone E., Ferrandino, V., “L’impresa familiare nel Mezzogiorno continentale fra passato e presente. Un approccio interdisciplinare. Atti del convegno di studi. Benevento, 30 novembre – 1 dicembre 2007”, pubblicazioni DADES, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 110-119.
[3] Legge 11 aprile 1953, n. 298, “Sviluppo dell’attività creditizia nel campo industriale nell’Italia meridionale ed insulare”, su “Gazzetta Ufficiale”, n. 102 5 maggio 1953.
[4] Zamagni, V., “Il credito all’industria”, in Bermond, C. (a cura di), “Storia d’Italia. Annali”, vol. 23, La banca, Einaudi, Torino 2008, pp. 765-784.
[5] D’Errico, E., “Scandalo Isveimer, scattano le manette”, su “Il Corriere della Sera”, p. 13, 11 Dicembre 1996.
[6] Redazione, “Scandalo Isveimer-Fininvest 9 prescrizioni, tre patteggiano”, su “La Repubblica”, sez. Politica interna, p. 22, 12 Maggio 2004.
[7] Marchesano, M. R., “Compensi d’oro ai consulenti”, su “Il Denaro”, n. 23, p. 10, 1 Gennaio 2002.
[8] Ferri, A., “Isveimer, bilanci nulli dal ’95 al ’97”, su “Il Denaro”, n. 23, p. 10, 1 Gennaio 2002.

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